Qualcosa di travolgente

di Gianni Brera

Dopo la sesta giornata, il Maestro si arrende al suo gozzaniano mistero senza fine bello: appena quattro giorni prima, nel mercoledì di coppe, le squadre italiane erano apparse inadeguate e in disarmo di fronte alle rivali europee; la domenica, invece, la Serie A accoglie i suoi smarriti amanti ...

Il calcio come grazioso nepente da fastidi ubbie disappunti scocciature. Che altro possiamo chiedergli? Il furore nel quale ci aveva precipitati il mercoledì nero di Coppe sembra miracolosamente svanito. Non è la prima volta che il campionato ci si offre come un porto accogliente e salvatore. Purtroppo non sarà neppure l’ultima. Il calcio sfugge a qualsiasi analisi preventiva: torna logico solo "a posteriori". Mercoledì scorso, Milano era una pedatoria gehenna in cui buttare tutti i vergognosi rifiuti delle sue beneamate. E Napoli era la patria d’uno spauracchio da esorcizzare subito perché non avesse a morire anzitempo il campionato. Alla sola Verona si poteva guardare con fondata stima, dopo la volitiva sortita di Utrecht. Sulla Juventus, modici dubbi: a differenza delle rivali milanesi, si era pur battuta ad Atene.

Ancora: la polemica infuria sullo sbadato Milan di Sacchi, colpevole (?) di truccare le proprie idee tecnico-tattiche. Qualcuno le contesta apertamente: massimo di durata, i giorni del panettone (o non dice Lèvy Strauss che in realtà il Natale è la temuta festa dei morti?). Il Sacchi ricorre a una gherminella di grande sapore cortigiano: invoca il Signore perché il suo carisma si trasmetta ai reprobi. Il Signore arriva in elicottero, novello Lohengrin della pedata, e da lui solo si apprende che Filippetto Galli è stato escluso a Lecce perché lo inquietava moltissimo la nascita, imminente, dell’erede. E' l’unica ragione addotta e attendibile di una prestazione che può ingenerare sospetti sgradevoli: per esempio che la squadra abbia dato ostracismo al tecnico. Filippetto rientra a Verona, sta fuori Van Basten: si aggiusta la difesa e con quella il centrocampo. Il più serio e arguto dei tecnici italianisti, Schopenhauer Bagnoli, manca di Jachini e sacrifica Volpati sul più scatenato Gullit della stagione. Il moro pettinato a spaghetti appare bello e fremente in ogni azione. Filippetto Galli si fa sentire da Larsen, che non segna. Aveva pur detto Bagnoli che Sacchi trucca il difensivismo. Il solido e quadrato Verona viene disfatto con il modico distacco di un gol lucrato da Virdis (angolo, stacco, schiacciata imprendibile). Il migliore dei veronesi risulta Giuliani, il bravissimo portiere, che sventa tiri-gol a Colombo e Gullit. Schopenhauer Bagnoli si esprime alla fine con la misura del saggio. Sacchi riesce a contenere il proprio entusiasmo perché non abbia a trasformarsi in arroganza: dobbiamo far molto ancora. E sfido! Il cammino percorso fin qui è solo pari a un quinto del campionato. Senza pretenderla a disinvolti, si può dire che Sacchi si deve essere convinto a Verona come e quanto sia più conveniente prendere un gol meno dell’avversario.

Mentre si esprimono alte meraviglie per l’inatteso gesto del Milan, che assurge di bel nuovo al grado di concorrente più degno - in potenza - del Napoli, ecco il fescennino perpetrato all'Olimpico. La Roma si conferma velleitaria la sua parte. Il Napoli si porta Maradona su una spalla, come accade ai genietti maligni, eppure non è la Roma a primeggiare dal via al 45’, bensì la squadra campione. E quando segna Pruzzo su angolo, e viene espulso Careca per una brasilianata gratuita, il gioco sembra fatto. Ma il Napoli decide di irridere a tutti facendosi ridurre a 9 (espulso anche Renica) e con quelli soli (meno Maradona) perviene gloriosamente al pareggio! Nota ironicamente Ferlaino, capace di contentarsi: "Abbiamo rimandato la morte del campionato". Ma quali riconoscenze per la sbadata e inconcludente Roma?

Ian Rush e Fabio Calcaterra
Classicissima a San Siro con premessa irriverente: due damazze che si presentano con le scarpe slabbrate e le dentiere malferme: pretendere di farne un discorso calcistico sarebbe come parlare di polenta e merluzzo in latino dotto. E invece Inter e Juve giocano a calcio; si picchiano se non altro con arcigna applicazione. L’Inter attacca subito con slanci un tantino velleitari. Un assedio a Tacconi si risolve con tiro di Passarella respinto da Bruno (8’). Neppure 30" dopo, passa l’Inter: il cross di Altobelli da sinistra trova alla destra Serena misteriosamente libero di staccare e schiacciare di capa per la completa uccellatura di Tacconi. Si infortunano Mandorlini e Mauro. Marchesi azzecca la sua sostituzione con Alessio. Mandorlini rimane con il gomito lussato e sta in centrocampo su Magrin o De Agostini. Il fenomenale Ian Rush viene tenuto benissimo da Calcaterra, riserva jolly della difesa. Il gettito del vivaio in materia di difensori è straordinario. Mancano all'Inter Bergomi e Ferri, due nazionali. Poi si farà male anche Nobile ed entrerà Rivolta: anch'egli andrà bene come Calcaterra. Il terzino destro dell’Inter su Laudrup è Baresi I, che non sempre lo segue. Laudrup rifinisce invano di testa per Rush, che Passarella anticipa. Brio incorna sul palo più vicino dopo un angolo. La Juventus è ammirevole per impegno e anche per sagacia tecnico-tattica dal momento dello 0-1. Penso che non debba perdere. Sempre Mandorlini su De Agostini o su chi capita. Più autoritari i centrocampisti juventini. Troppo spesso i lungagnoni interisti di punta balbettano pedata. Finale di tempo quasi osceno.

Rientro della Juventus assatanata. Laudrup da 25 metri spara sulla traversa: tutti convinti della deviazione di Zenga, al quale ormai si riconoscono virtù taumaturgiche. Non c’entra con il tiro di Laudrup. Sèguito a pensare che la Juventus non debba perdere perché in effetti gioca meno peggio dell’Inter. Al 51' Laudrup manda in gol De Agostini, smarcato sulla destra. Il controllo è perentorio come l’esterno sinistro con cui viene uccellato Zenga. Al 59' si accentra Alessio dall'ala destra e serve a rientrare una splendida palla-gol a Rush: il connazionale di Tristano spara il destro e lo cicca nel più avvilente e incredibile dei modi. Vien da pensare a Blisset, all'inguaribile e provinciale inferiority complex degli italiani nei confronti dei britannici. La tentazione di scagliarmi contro Rush è notevole: poi mi ricordo di un Altafini sfottuto e detestato da Viani e Rizzoli, che avrebbero voluto farlo fuori: Rocco lo consolò e ne ottenne quanto bastava per vincere lo scudetto (62’). L'Altafini detestato da Viani e Rizzoli valeva questo Rush. Rocco lo consolava: "Piangi, Giòse, piangi!", ma poi gli chiedeva anche i gol: e Conileon ne segnò quanti bastavano. La nemesi adocchiò lo sproposito di Rush a S. Siro e condannò la Juventus. Avrebbe vinto segnando il 2-1. Dello stesso punteggio ha perso invece per un altro incredibile stacco di Serena. Il movente d’uno sgambetto di Brio a Fanna mi torna tuttora ignoto. Uno spirito sadopuerile alla Bagni? Lo stesso Fanna batte la punizione-cross: e Serena è ancora solo e vergine di gomitate al momento dello stacco. "Te voluret vedè che vìnciom?", traduce dal messinese Mimmone Ferraro. Vuoi vedere che vinciamo? Solo la nemesi è morale; il calcio no. E io insisto che a me non è dispiaciuta la Juventus: dal Meazza sono sfollato dolendomi che stesse perdendo. Le ha detto no anche Zenga nel finale.

Adesso parlano tutti di Rinascita Milanese. Mercoledì con la testa nel tombino fetido; domenica con la testa tra le stelle, dove - ahimè ahimè - non mancano le nuvole. Ora siamo tutti in fila dietro al Napoli, che sembra avere una marcia in più. Milanesi, la Roma, la Sampdoria, solito genio e sregolatezza (molte palle-gol le lascia invano il Pescara). Rimangono indietro i magnifici fiorentini, che la estrosa generosità di Gritti ha messo sotto due volte per il piede non irresistibile ma puntuale del "tognino" Polster: pare questo il destino dei veri milanesi. Sui due "assist" di Gritti avrei segnato anch'io.

"La Repubblica", 27 ottobre 1987