I dati economici

La Serie A 1987-1988 fu un campionato di cerniera tra due diverse epoche della storia del calcio italiano. I protagonisti non ne ebbero immediata contezza, ovviamente. Ma era nell'aria la sensazione che i tempi stessero mutando. Lo si percepiva da molti indizi, a cominciare da quelli economici.

Il torneo fu l'ultimo a 16 squadre di una lunga serie cominciata nel 1967, dopo il fallimento della Rimet inglese del 1966 e il blocco del tesseramento di calciatori stranieri. Lega e Federazione avevano deciso l'allargamento a 18 squadre, dalla stagione successiva, per cominciare a vendere alle televisioni un prodotto arricchito di quattro giornate.

La Lega Calcio, che allora teneva insieme Serie A e B, spuntò dal 1987 un nuovo contratto triennale con la RAI per la trasmissione delle immagini del campionato. La richiesta iniziale era stata di 100 miliardi di lire a stagione, ma poi i club di accontentarono di un valore doppio rispetto a quello precedente: 60 miliardi. In cambio la RAI ottenne l'esclusiva: le televisioni private non poterono trasmettere che gli highlights. Negli anni precedenti la stessa RAI aveva invece ceduto i diritti ad alcune emittenti locali per la trasmissione in differita dal giorno dopo (in genere dalla mezzanotte) di alcune partite (un affare da 3,5 miliardi). Da quella stagione la RAI lanciò invece la partita (in differita) in prima serata alle ore 20:30 su Rai Due. E le squadre di Serie A si ripartirono una torta da 30 miliardi, circa 1,9 per ogni società. 

Si noti come la voce incassi al botteghino fosse allora la più consistente: 125 miliardi (di cui 65 di abbonamenti) in 240 partite nella stagione precedente, ben 147 miliardi per quella 1987-1988 (con un aumento di circa il 15% del prezzo dei biglietti) e poi addirittura 200 miliardi per la successiva. La media degli spettatori a partita sarebbe stata di circa 30.000 persone. Il record era stato raggiunto nella stagione 1984-1985 con quasi 39.000 spettatori di media. Dalla stagione 1988-1989 si sarebbe scesi stabilmente sotto i 30.000 (negli ultimi anni si vivacchia ormai tra i 22 e i 23.000). Nel 1987-1988 il Napoli, campione in carica, fece di media 73.745 spettatori e il Milan, vincitore dello scudetto, 72.177.

Un'altra fonte di profitti veniva dal Totocalcio: 38 miliardi complessivi nel 1986-1987. Le sponsorizzazioni valevano invece circa 15 miliardi: la Juventus otteneva circa un miliardo e mezzo dall'Ariston (sponsor storico dal 1980, anno di introduzione dei marchi sulle maglie); più di 1 miliardo pagavano anche Misura all'Inter, Barilla alla Roma, Mediolanum al Milan; il Napoli campione, invece, non ricavava altrettanto dalla Buitoni; i club più piccoli arrivavano a poche centinaia di milioni (l'Ascoli a 300 dalla Micromax, il Como a 350 dalla Mita). Ma la tendenza era ormai avviata verso la commercializzazione del prodotto, che avrebbe poi avuto con l'introduzione di 28 posticipi nel campionato 1993-1994 trasmessi a pagamento da TELE+ la prima grande discontinuità.

Anche il numero dei giocatori stranieri tesserabili dai club cominciò ad aumentare, con l'intento di rendere più spettacolare il gioco con l'innesto di campioni e buoni giocatori. La Serie A 1987-1988 fu l'ultima con due soli stranieri per squadra (il limite era stato introdotto dal 1982, la riapertura delle frontiere dal 1980). Dalla stagione successiva si passò a tre, poi a quattro dal 1991-1992, e, dal 1996-1997, all'assetto attuale, senza limitazioni (se non per gli extracomunitari) per effetto della "sentenza Bosman" del dicembre 1995, che ha dato la stura all'arrivo degli Optì Pobà, come direbbe l'attuale presidente della FIGC.

Come scrisse Giorgio Bocca in un articolo alla vigilia del campionato 1987-1988, "chi ha una idea vaga del terziario avanzato, chi non riesce a capire bene che cosa sia poi questo famoso postindustriale pensi al campionato di calcio che sta per iniziare e, magari, al campionato del mondo di cui si occupa il Luca di Montezemolo. Pensi all'industria, agli interessi, alle sofisticate tecniche aziendali che sono state appese su un gioco che molti di noi hanno imparato inseguendo, nei campi riarsi di una periferia, dei palloni rattoppati, con le porte segnate con i libri di scuola o con qualche pietra" [vedi].