Com'era difficile credere a un sogno

di Luca Argentieri

L'inferno del San Paolo
Il sogno è volato via, volato in alto, assieme al fumo dei bengala che la curva B aveva acceso all'ingresso in campo degli eroi e dei cattivi, quando mancavano un paio di minuti alle 20.30, orario fissato per la corrida della speranza. Tutta Napoli aggrappata al treno dei desideri, tutti a cantare lodi e osanna per Maradona e compagni; terribile e tremendamente intensa era la voglia di crederci, di vedere battuto, in ginocchio, il grande Real Madrid. I sogni sono durati poco davvero, svaniti in centoventi secondi, forse qualcosa di più, il tempo trascorso da quando s'era visto Careca battere il destro da due passi sui piedi di Buyo a quando l'Avvoltoio, al secolo Paolo Emilio Butragueño, aveva zittito novantamila minuti di speranza. In quel momento hanno davvero capito tutti che bisognava tornare alla realtà, che la Coppa dei Campioni 1987-1988 era un'avventura da mettere in archivio. Un rispettoso silenzio, ma anche doloroso, ha accompagnato praticamente da allora in poi la partita. Al Santiago Bernabéu non c'era nessuno, e quel silenzio era dunque sinistro, maligno; al San Paolo c'erano novantamila persone e il loro silenzio, così diverso, era doloroso, e triste. Anche becero quando s'è trasformato, nel finale, il lancio di bottigliette ed oggetti vari in campo. Ma ormai era tutto dimenticato, perfino il boato che aveva accolto, pochi minuti prima delle otto, il riscaldamento dei campioni di Spagna. Boato da far paura, ma che non aveva spaventato i cattivi. Gente che non ci fa caso.

Il pareggio di Francini non serve a riaccendere
il sogno partenopeo
Due minuti per non crederci più, dopo che Napoli aveva a lungo dato l'impressione, nei giorni passati, di non volerci nemmeno credere e di dormirci addirittura un po' sopra. Un grande sonno finito verso le cinque del pomeriggio, quando il sole già si incamminava più lento dietro la collina di Posillipo e ai bagliori del giorno cominciavano ad avvicendarsi le ombre della sera. E allora Napoli, che fino a quel momento aveva vissuto senza agitarsi, disincantata, quasi passiva il conto alla rovescia, si scuoteva improvvisa, si stiracchiava, scossa dal suono dei primi clacson, dalle prime sirene, inebriata dal primo sventolio di bandiere. Ci si poteva incamminare, tutti in marcia, tutti quelli beninteso che potevano, diretti allo stadio. E gli altri magari avanti e indietro per il lungomare, via Caracciolo, mentre nei quartieri dove il tifo diventa sempre sofferenza vera, il bianco e l'azzurro, i colori del sogno nel pallone, avevano fin dal mattino cominciato a sventolare. 

La giornata, e la partita, erano cominciate prima per diversi altri. Era cominciata da un bel po' per la polizia, che ormai dalla notte di lunedì si dava da fare per ritrovare un signore, armato di P38, che si era divertito per ben due notti in una singolare attività: sparare colpi su colpi contro i botteghini del Napoli calcio, quelli incaricati di vendere i biglietti. Hobby singolare senza dubbio e anche abbastanza pericoloso, ma fino a qualche minuto dall'inizio della partita non c'era traccia del guerrigliero dei botteghini. Che forse, passata la febbre madrilena, deciderà di lasciar perdere: magari era solo seccato per non essersi riuscito a procurare un biglietto. Tutto calmo era stato invece, tutto tranquillo, dalle parti di Castellammare di Stabia, dove il Real Madrid alloggiava, guardato e protetto da uno schieramento di polizia imponente e agguerrito. I campioni di Spagna avevano potuto dormire sonni tranquilli.

Dunque il grande sonno era finito, e mille e mille negozi abbassavano in anticipo le saracinesche, un po' festosi, un po' sospettosi, certo non sapevano a cosa stessero andando incontro, se sarebbe stata festa o piuttosto delusione e amarezza. Le prime lacrime però erano state tutte dei bagarini: avevano voluto giocare grosso, fin troppo grosso, erano arrivati a comprare tanti biglietti sovrapprezzo e ben presto, fuori dallo stadio, c' era gente che aveva pagato un posto centomila lire e lo rivendeva, disperato, anche a sole diecimila lire. Ogni tanto gli affari possono andare anche storti. Stadio pieno, così pieno che la gente sembrava pigiata a forza, stadio bollente, mentre all'ingresso della tribuna d'onore s'avvicendavano facce famose, ecco i duellanti della Federcalcio Manzella e Matarrese, ecco il c.t. campione del mondo, il dottor Bilardo, ecco Azeglio Vicini, skipper dell'Italia. E poi Luca Montezemolo, direttore di Italia '90, e tanti ex allenatori, e tanti direttori sportivi e l'ambasciatore di Spagna in Italia, Menendez Del Val. E' andato ieri pomeriggio a giurare da Cossiga, poi s'è fatto accreditare allo stadio. Non voleva perdersi lo spettacolo, ma c'è da giurare che non si sia azzardato a fare il tifo per i suoi. Non sarebbe stato il caso, in una notte come questa.

"La Repubblica", 1° ottobre 1987