Eterne violenze, eterni copioni

Franco Tancredi svenuto
Stadio di San Siro, Milano, domenica 13 dicembre 1987, ore 15:29. Al rientro in campo per la ripresa di Milan-Roma, ancora sullo 0:0, il portiere giallorosso Franco Tancredi si incammina verso la porta sotto la Sud; un petardo lanciato dal primo anello gli esplode tra le gambe, facendolo crollare a terra stordito; pochi istanti dopo ne arriva un secondo, che gli scoppia a pochi centimetri dalla faccia. Il portiere perde i sensi, mentre i medici si precipitano in campo: Tancredi ha le gambe paralizzate, è in stato di shock e viene rapidamente portato in barella negli spogliatoi, dove riprende conoscenza. Poco dopo viene trasportato all’Ospedale San Carlo, dove uscirà due giorni dopo con un’accertata ipoacusia permanente a causa della quale perderà il 30% dell’udito dall’orecchio destro. Il lanciatore dei petardi viene identificato e intercettato verso sera sul treno per Vigevano: si chiama Luigi Sacchi, ha 23 anni, è disoccupato e sostiene di fare parte dei Commandos Tigre. Confessa subito e il giorno dopo è già a casa, dove si concede ai fotografi, rilascia interviste ai giornali e compare in televisione [fonti].

Durante la settimana successiva il paese inscenò il consueto melodramma, ciascuno con la propria parte in commedia: dal ministro degli Interni, Amintore Fanfani, al presidente della FIGC, Antonio Matarrese, al presidente della Lega, Luciano Nizzola, ai dirigenti delle società, agli allenatori, ai giornalisti, ai tifosi al bar, ad Aldo Biscardi. A rileggere i giornali di allora sembra di seguire la cronaca recente: le dinamiche e le responsabilità erano già chiarissime a chi avesse volute riconoscerle, ma nulla di concreto è stato fatto nei 27 anni trascorsi.


Antonio Matarrese e Luciano Nizzola
Il martedì successivo, il vicedirettore de “La Repubblica”, Gianni Rocca, scrisse un editoriale molto lucido - Il calcio nell’arena [vedi]: “Il fiume del calcio è ormai in piena da molti anni. Nel suo alveo passa di tutto, gli argini sempre più erosi non ne contengono la furia, le alluvioni si succedono con ritmi incalzanti. Qualcuno ha cercato, bendandosi gli occhi, di non vedere, di non capire, rinviando, per timore di rompere il giocattolo, o per non ledere rilevanti interessi, i drastici ed inevitabili interventi. Quindici giorni fa, su queste colonne, lanciavamo l’ultimo dei numerosi allarmi inviati, peraltro senza successo, al governo del calcio. Ci aveva mosso non tanto l’esplosione di un petardo quanto il senso di diffusa barbarie che domenicalmente ormai promana dagli stadi. Avevamo chiesto all’on. Matarrese, e agli uomini che con lui guidano le sorti del calcio, di promuovere un incontro urgente con tutti i presidenti delle società professionistiche, perché da quel convegno partisse in modo inequivocabile non un monito generico, contro la violenza, ma un impegno preciso per modificare le regole del gioco. Prima fra tutte lo smantellamento dei club di ultras, ormai ben noti, conosciuti, e per troppo tempo coccolati, finanziati e difesi. Un’operazione, questa sì, da portare avanti in stretta collaborazione con le forze di polizia […]. Apprendiamo che l’on. Matarrese, spaventato finalmente dalle proporzioni del disastro, si è mosso. Ha chiesto un incontro col ministro dell’Interno. Un passo necessario, senza dubbio. E valido, ma ad una condizione: che il governo del calcio assicuri alle forze di polizia tutto il suo concorso, denunciando, senza omertà, quelle bande di tifosi, veri e propri racket della violenza, che ogni società calcistica continua a portarsi appresso, quasi una tangente obbligatoria da pagare per evitare chissà quali altri guai […]. Sappiamo che all’origine dei club organizzati dei tifosi c’era l’intenzione di rispondere da parte dei presidenti delle società calcistiche alla concorrenza televisiva che teneva troppi spettatori in poltrona davanti al video. E così nacquero le curve pittoresche, dapprima coi fumogeni, poi con i petardi; dapprima con gli striscioni strappacuore e poi con quelli della violenza becera, fascista e razzista. Il processo di degenerazione non venne avvertito a tempo. Così come non venne avvertito che il pagamento delle trasferte a masse di tifosi se faceva sentire l’incoraggiamento agli atleti lontani dal loro campo abituale, trasformava col tempo quei drappelli in squadre di combattimento, pronte a passare dalle aste delle bandiere ai coltelli; con dei capi che finivano per gestire, in piena autonomia, ogni tipo di vandalismo e di violenza: dagli autogrill fracassati, ai ristoranti non pagati, alle carrozze ferroviarie sfasciate. È con queste responsabilità specifiche delle società calcistiche che Matarrese, e con lui gli uomini del suo governo, debbono misurarsi e subito, senza perdere un solo minuto. Già la tragedia di Heysel aveva lanciato un segnale inequivocabile, a livello europeo, addirittura. Non venne raccolto. Eppure quello era il punto di non ritorno, la conferma che il fiume del calcio era ormai straripato e che solo l’emergenza avrebbe potuto riportarlo a livelli normali. Adesso pare si possa dire, finalmente, che siamo all’ultima spiaggia, senza essere tacciati di pessimismo moralistico. Il governo del calcio può e deve agire. Ha dalla sua quei molti che aspettano solo un segnale per ritornare negli stadi. Prenda esempio dal civile comportamento di quei quarantamila milanesi che dopo lo scoppio dei petardi hanno lasciato San Siro, disgustati per quanto avevano visto e truffati del biglietto che pure salatamente avevano pagato […]. Concludiamo queste note, con le stesse parole di quindici giorni or sono: solo uno choc può far aprire gli occhi. In caso contrario accadrà al calcio quel che sta avvenendo verso la vita politica: il diffondersi di un generale senso di nausea e di fastidio. Elettori e tifosi se ne rimarranno a casa in numero sempre crescente”.

Il giorno dopo, sullo stesso giornale, Fabrizio Bocca, descrisse lo stato delle cose del rapporto tra società calcistiche e tifoserie più o meno violente [vedi]: “Esiste uno stretto rapporto tra società e tifosi, o meglio tra società e club. Può essere collaborazione, per la maggior parte delle volte, ma sovente anche ricatto, violenza, se non addirittura connivenza. C'è un aspetto inquietante: talvolta forse i tifosi e i club servono da copertura. Per il controllo del bagarinaggio ad esempio. Questura e polizia hanno svolto spesso indagini in questo senso. Un piano di questo genere, più o meno: un dirigente della società vende un certo numero di biglietti ad un tifoso, che poi rivende davanti allo stadio a prezzi maggiorati. Il guadagno ovviamente viene suddiviso. C'è il sospetto, ma non le prove. In galera non è mai finito nessuno. Data la vastità del fenomeno tifo è certamente difficile analizzarne i rapporti con le società stesse. Una cosa è sicura, quasi tutte le società di serie A non vogliono entrare in contrasto con i propri sostenitori, ne cercano assiduamente l’appoggio, il consenso. Se questo costa centinaia di biglietti omaggio ogni domenica, poco importa. Qualcuno ha perfino codificato questa norma: al Milan vengono dati due biglietti gratis agli "alfieri" che portano gli striscioni. Altrettanto viene fatto nelle altre società. Al Napoli, ad inizio stagione, era scoppiata una vera e propria guerra. Ferlaino tentò una drastica riduzione degli omaggi. Dalla curva B, quella degli ultras, si levarono cori contro il presidente durante la partita con l’Ascoli: striscioni, offese pesanti. Tutto il resto dello stadio si dissociò da questa contestazione che comunque nelle partite successive non fu mai ripresa. Probabilmente il Napoli dovette cedere, versando altri biglietti gratis. Spesso si è parlato di scioglimento delle associazioni di tifosi […]. Quasi nessuna squadra ammette di avere rapporti con gli ultras, con le frange più estremistiche e spesso violente del tifo. Teoricamente teppisti, fanatici, picchiatori e petardari dovrebbero essere emarginati. Ma la realtà dimostra che non è così. Anche loro hanno biglietti gratis, hanno sovvenzioni per le trasferte, spesso hanno messo in piedi vere e proprie organizzazioni di carattere mafioso. Dice Franco Baribbi, presidente del Brescia: "Molti tifosi ci ricattano. Siamo minacciati: dateci i biglietti o vi sfasciamo lo stadio, facciamo invasione, spariamo mortaretti. Purtroppo spesso dobbiamo subire". Franco Baribbi parla al plurale, è evidente che ci sono altri presidenti nella sua situazione. Il ricatto in fin dei conti ha un terreno facile, basta tirare un sasso, un petardo, provocare incidenti... E probabilmente non bastano più nemmeno i biglietti gratis: ci vogliono i soldi per i fumogeni, per il treno, la macchina, lo spinello. Anche Ferdinando Chiampan lo scorso anno, dopo gli incidenti di Brescia, intraprese un lungo braccio di ferro con gli ultras. L’iniziativa fece molto discutere ma in realtà le curve non si chiusero mai. Pier Cesare Baretti, pochi giorni prima di morire, aveva chiesto invece al Centro Coordinamento Viola Club di non organizzare più trasferte per i tifosi della Fiorentina. A Cesena c’era stata una violenta sassaiola. Sono rimaste comunque voci e iniziative isolate […]. C'è chi risolve le cose a suo modo, con il peso del proprio prestigio. È il caso di Mantovani, presidente della Sampdoria. L’anno scorso dopo la scazzottata a San Siro minacciò di cedere Mancini e Vialli. Senza contare che ha poi assunto come magazziniere un ex ultras, con qualche invasione sulla coscienza (adesso è un tipo tranquillissimo...). Le associazioni dei tifosi tra l’altro si dividono, si spaccano, si fanno la guerra, per biglietti e privilegi […]. Il club non è soltanto allora un centro di passione, di hobby, di svago. È un centro di potere che nessuna squadra può trascurare. Altrimenti una società quest’anno non si sarebbe affrettata a sanare, secondo alcune indiscrezioni, il deficit della propria principale associazione di tifosi. E altrimenti l’Avellino non sarebbe stato praticamente costretto ad allontanare Luis Vinicio dalla panchina. "Lo aveva chiesto la piazza".”