Quanti alibi nel momento più brutto di una carriera

di Gianni Mura

Con soli 9 punti dopo 9 giornate l'Inter è ufficialmente dichiarata in crisi, e la colpa ricade, ovviamente, su Giovanni Trapattoni ... Un film già visto, e che si rivedrà. Gianni Mura traccia un quadro oggettivo della pochezza del gioco e soprattutto della assenza di qualità di una rosa invecchiata, senza uomini di carisma, piena di troppi giocatori che "hanno i piedi a banana". La squadra gli appare "da rifondare senza illusioni, dando la buonuscita a circa mezza rosa". Ramazza ma non esonero. Così fu, infatti, e la stagione successiva arrivò lo scudetto dei record ...

I silenzi, i richiami alla compattezza dell’ambiente, il mercoledì che deve riscattare la domenica: è un film già visto ma di chi è la colpa se l’Inter continua a produrre delusioni alternate a qualche sbrilluccichìo. La colpa è del signor Trapattoni da Cusano, secondo molti. Hai voluto la bici? E allora pedala. Forse è questo il peggior momento della carriera del Trap, ma non è un buon motivo per dimenticare tutta la carriera. Riassumo, al di là di numeri che gli danno ragione: per dieci anni abbondanti Trapattoni è stato non un allenatore italiano ma l’allenatore italiano. Il più vincente, il più intoccabile, il più italianista. Grazie, diceva una parte d’Italia, con Boniperti presidente e gli Agnelli dietro, di fare l’allenatore della Juve son capaci tutti. Mica vero. All’Inter, pur essendo uno stipendiato, il Trap è poliedrico, una sorta di allenatore-padrone, nel senso che gli si riconosce esperienza e carisma per bilanciare una concorrenza cittadina (Berlusconi) non facile da affrontare. Per buona parte dello scorso campionato il Trap cava sangue dalle rape, fra cento contrattempi (infortuni a catena) e insomma si guadagna la michetta, come si dice a Milano. Il suo carisma funziona ancora, l’Inter, finché dura, è l’anti-Napoli. E del Trap i bene informati continuano a parlare come futuro tecnico azzurro (Vicini avrà tempo fino agli Europei). E veniamo ai tempi attuali.

L’Inter è a sette punti dal Napoli e realisticamente può solo pensare alla zona Uefa (se si rimette in carreggiata). Benedetta e maledetta per le sue pazzie (l’incostanza è l’unica costante nerazzurra di questi ultimi anni), l’Inter è oggi una squadra che riesce a far sembrare fortissimi e ben messi in campo tutti gli avversari, si chiamino Pescara o Besiktas, Ascoli o Turun. Per non accorgersi delle difficoltà oggettive della squadra, bisognava avere gli occhi coperti dalle sacre bandiere. In coppa Italia, solo una vittoria col Catania (serie C), in Uefa gare stentatissime, in campionato tre vittorie su nove partite. L’italianista Trapattoni critica per due mesi chi critica la coesistenza Scifo-Matteoli, ma adesso si allinea. Due così potrebbero anche stare insieme, se a centrocampo ci fossero due ex interisti come Bagni e Sabato (per dire), o il miglior Tardelli e il miglior Baresi, non questo Baresi che da troppo tempo corre per sé e gli altri. La grande difesa, tutti azzurri o quasi, fa acqua e dorme della grossa sulle palle inattive. Quando non subisce per prima (è già successo una decina di volte, nella stagione), l’Inter non riesce a difendere il minimo capitale del gol (come a Roma). Il realismo della Juve trapattoniana confinava col cinismo, grazie a un perfetto contropiede. Ma l’Inter non sa fare contropiede e nemmeno sa chiudersi, e in mezzo al campo balla alla musica degli altri. 

È una squadra nata male sul mercato: l’idea buona era prendere Gritti, che non ci è stato. L’idea meno buona è stata quella di tenere un altro anno Passarella, che non fa più la differenza e nemmeno fa gruppo. Sotto questo aspetto, l’ultimo collante a presa rapida è stato Marini, poi il buio. Altobelli è il capitano, è Spillo nostro, ma non è un leader. Poteva esserlo Zenga, che se ne va. C’è troppo nervosismo in squadra, al di là della mancanza di risultati. Ultimo esempio il fallaccio di Serena su Giannini, ma significativo anche il mezzo litigio Altobelli-Passarella per stabilire chi dovesse battere un inutile rigore all’Olimpico. Più che Nobile e Piraccini, come alternative, il Trap non ha. Fischia e si sbraccia dalla panca, ma la banda continua a steccare. Non esiste che l’Inter in nove domeniche becchi gli stessi gol dell’Empoli, più gol di Cesena e Como? Esiste sì, i numeri sono lì a dirlo. 

L’errore fondamentale dell’Inter (di Pellegrini e anche di Trapattoni) è di aver pensato che i miracoli e il sangue dalle rape si possano replicare ad libitum. Nossignori. Le crepe si sono allargate: Altobelli, per una partita lucente, ne fa tre buie, Passarella non poteva, anagrafe alla mano, acquistare tonicità, e ha pure perso zolfo, lo spogliatoio è tutto meno che unito, e quando fa finta di unirsi è per convenienza, non per convinzione. Dei titolari azzurri, in difesa, Zenga ha i suoi problemi, che l’Inter ma anche lui potevano gestire meglio, Bergomi dà spesso l’impressione di essere rimasto a Madrid ‘82 arricchendo il suo bagaglio più di nervosismo che d’esperienza, mentre Ferri è sicuramente progredito, non a caso è stato uno dei pochi a salvarsi a Roma. Ma Roma è solo l’ultima tappa per la bici che Trapattoni ha voluto e spesso ha le gomme sgonfie, l’ultima giornata da segnare col sassolino nero. Sul piano dell’immagine personale, Trapattoni è quello che rischia più di tutti. La verità è che, con o senza il Trap, l’Inter è una squadra da rifondare senza illusioni, dando la buonuscita a circa mezza "rosa". L’unico impegno serio, per ora, è quello di non smobilitare. Poi, ramazza. E un consiglio: prendere piedi buoni. La prevedibilità e la macchinosità dell’Inter dipendono dal fatto che troppi giocatori hanno i piedi a banana. Vogliamo crocifiggere il Trap perché non esce allo scoperto? Ma via, con questi eroi lui deve arrivare a giugno ...

"La Repubblica", 24 novembre 1987