Non credete alle favole

di Gianni Brera

Gianni Brera assistette dal vivo alla sconfitta casalinga dell'Inter contro il Pescara nella prima giornata del campionato 1987-1988. Nel suo commento per "Repubblica" ribadì per l'ennesima volta i suoi convincimenti teorici, la sua idea di calcio, che in quel torneo erano sfidati apertamente dalle nuove proposizioni che venivano da tecnici come Arrigo Sacchi e Giovanni Galeone.

Il campionato ha preso avvio nella calura, tanto inattesa quanto sofferta. Nessuna grande ha perso tranne l’Inter, scandalosamente battuta a San Siro dal Pescara. Hanno vinto fuori casa il Napoli e il Milan; i campioni stentando parecchio a Cesena (cosa che non ha entusiasmato chi li sapeva in partenza per Madrid), i rossoneri con un agio che non ha mortificato gli ospiti pisani. Hanno vinto in casa la Juventus e la Sampdoria: la prima senza incantare affatto (ma le mancava Ian Rush); la seconda snobbando oltre il lecito il coraggioso e derelitto Empoli. Uno stento pareggio ha rimediato la Roma ad Ascoli, mentre la sola classica in programma, Fiorentina-Verona, è finita senza reti con gran dispetto dei veronesi, maltrattati oltre misura dall'arbitro.

Ho qui esordito affermando che la sconfitta casalinga dell’Inter deve considerarsi scandalosa. Molti commenti, per contro, hanno esaltato il simpatico e scanzonato Galeone, tecnico del neo-promosso Pescara. Io gli ho sentito ammettere parecchie cose giuste e intelligenti: ma nessuna centrata come questa: che la difesa del Pescara gli ha dato gli stranguglioni. I facili ed i superficiali (stia in guardia il lettore) si abbandoneranno a strambotti esaltanti sul "calcio novo" giocato dal Pescara. Sono desolato di dover dire che nulla ho veduto di nuovo in Inter-Pescara, neppure la delittuosa insipienza di Altobelli, centravanti dell’Inter e della nazionale. Da anni lo conosco e non mi sdegno quando sembra cadere in distonia psichica, la fronte corrugata, l’occhio perso, una incredula smorfia a piegargli amaramente la bocca. Dal suo ampio blusone di clown, Altobelli ha cavato fuori con il Pescara nefandezze indicibili, comunque tali da far male all'intero calcio italiano, perché qualcuno adesso potrebbe credere che veramente Galeone, nome antico, scarichi dalle sue stive capaci idee nuove.

Personalmente ho visto un’Inter più che discreta per oltre mezz'ora. Dopo 2' era in angolo e sulla battuta dalla bandierina l’ineffabile Passarella ha alzato da due passi una comoda palla-gol. Poi ho veduto Junior servire a ritroso Altobelli (23’). Dice il brasiliano che l’interista gli aveva slealmente chiamato il passaggio: forse per evidente senso di colpa non ha concluso, il ladro di tanta palla, e così l’ha scaricata su Ciocci, evidentemente sorpreso e sopraffatto dalla responsabilità di dover segnare: si è dunque impappinato, meritandosi la sostituzione alla ripresa. Altobelli si è anche lasciato togliere dal fettone una palla-gol su angolo al 25' e per fortuna ha smesso di nuocere fino all'intervallo. Nel frattempo (al 40’), Junior ha battuto di esterno destro un lancio tagliato e disagevole che il mediano Galvani ha tentato di controllare con il petto (vorrei dire di capezzolo): lo stop gli è riuscito male e, per ironia, utilissimo, perché la palla, non trattenuta, è balzata oltre il granitico Passarella; e tanto oltre che Zenga ha avuto la giusta sensazione di dover uscire: l’ha fatto quanto non è bastato: esitando colpevolmente, ha consentito a Galvani una prodezza che per solito riesce ai soli grandi campioni: il pallonetto beffardo in rete.

Fino a questo momento il Pescara si era difeso concedendo quel subisso di palle-gol e aspettando il contropiede, espresso da fuori con grossi tiri di Berlinghieri, Galvani stesso e, dopo il gol, di Zanone (gran parata su lungo tiro-gol da parte di Zenga). L’Inter ruminava calcio ma non tanto male da non creare ottime occasioni. Scifo - a parte qualche dribbling dimostrativo - giocava con esemplare misura, e così Matteoli: ma nessuna punta scattava mai a dettare il passaggio od il lancio. Non per altro ho scritto di calcio ruminato. Se il gioco non è profondo, è già miracoloso (e allarmante per il Pescara) che si siano create tante palle-gol. Alla ripresa è stato anche peggio. Altobelli ha sprecato due agevoli incornate-gol su cross di Bergomi dalla destra; poi ha tirato su Gatta una palla-gol lavorata benissimo da Scifo; poi ha sbagliato ancora, e visto Fanna servire Gatta da presso in una certa occasione, io sono andato via facendo le ficche a Giove e maladiciando a Passarella, incapace di chiudere su un incredibile diagonale in slalom di Pagano. Costui, n. 7, venne abbattuto dal detto Passarella e da Zenga in goffa uscita: e toccò allo slavo Sliskovic - molto bravo - di battere il giusto rigore del 2-0. Era il 13' del II t. Al 12' avevo notato il Pescara melinare l’Inter, già degna la sua parte di ombrellate. Al 26’, quando ho visto Altobelli tirare su Gatta la deliziosa palla lavorata da Scifo, sono corso via digrignando.

La conclusione è comunque che l’Inter non è affatto la stuoia che il suo sbolinato capitano ha steso sull'erba ancora verde di San Siro e che il Pescara non è ancora la rivelazione del nostro campionato: troppe occasioni ha concesso a quella sciatta Inter. Galeone è simpatico e ragiona abilmente sulle ali sornione del paradosso: se però è di quelli i quali sostengono che il vero calcio consiste nel segnare un gol più degli avversari è troppo maledettamente fuori dalla norma italiana e avrà solenni dispiaceri presto. Naturalmente, non glieli auguro. Ma se prende piede questa teoria, il calcio italiano è fottuto: perché a sostenerla dovrà chiamare ogni anno più stranieri (e per incominciare resterà naturalmente a casa dagli "Europei"). Il vero calcio italiano, signori, consiste nel prendere sempre un gol meno degli avversari. Dite che è un sofisma? Amici come prima. Prendere meno gol è molto più agevole che segnare più gol. E il nostro campionato è lungo lungo lungo: e di galeoni ne possono affondar cento nel suo procelloso mare.

L'incornata vincente di Simba (conio breriano)
Dice che pensa a quel modo (un gol di più) anche Arrigo Sacchi: e infatti a Pisa l’hanno soccorso gli olandesi, dopo un gol del genere uno-su-mille segnato alla sversata da Donadoni. Non avendo ancora visto il Milan, mi guardo dall'eccepire. Mi chiamo fuori per ora sul piano esclusivamente teorico, perché la prassi - al momento - è trionfante. Il Milan di Pisa dispensa calcio a pieni calli: segna e si lascia malamente raggiungere. Non capisco bene se Materazzi sia stato presuntuoso o prudente mettendo fuori Dunga, che è il solo capace di far gioco italiano em todo o Brasil. So che Gullit ha schiattato fiamme dalle treccine e che il più composto Van Basten ha completato l’opera.

Qualche romagnolo si è doluto del modo sornione in cui il Napoli ha espugnato Cesena. Garella è stato salvato dai pali e dalla provvidenzial ciabatta. Non giudicate i campioni che vincono al risparmio, la vigilia d’un involo critico quale è questo verso Madrid. Rimpiangete piuttosto il 2-0 di Maradona. Non seguite nemmeno Costantino Rozzi, simpatico mattocchio d’importanza, che maledice subito ai fischi inopportuni (indovina di chi). La Roma ha già fatto molto a non perdere. Manfredonia è segnato come i discoli al liceo: quando il professore sente chiacchierare, urla i nomi sospetti: così gli arbitri con lui. La Juventus riesce a cavarsela con il Como privo di Borghi. A sua volta è priva di ariete: non può sognarsi di sfondare nulla. Quando il popolo invoca Vignola; l’olimpico Marchesi glielo molla come un voglioso Miura: ma incorna il palo. Bagnoli si lamenta d’uno zero e del caldo, che può intronare anche gli arbitri; ma che dovrebbe dire Luis Radice? L’arbitro gli concede il rigore al 90' - sull’1-2 - e Gritti glielo sciupa. Ho sempre pensato che i milanesi fossero un po' matti. Ha sentenziato Lao Tsè che la pura calma è il regolo del mondo: ma la calma di Gritti, ad Avellino, era solo mattia.

"La Repubblica", 15 settembre 1987