Il nostro calcio e quello altrui

La visione di Germania-Inghilterra del 9 settembre 1987 (cineteca) ispirava a Gian Paolo Ormezzano alcune riflessioni. Un breve, feroce ritratto del nostro modo di concepire il calcio - e della sua 'immoralità' o (in ogni caso) diversità  -, proprio mentre sta per prendere il via il nuovo campionato. Le opinioni di Ormezzano non sono originalissime, naturalmente, risultando anche e per certi aspetti omissive. Vale tuttavia la pena di riproporle a una lettura di contesto.



Da Düsseldorf un altro calcio. 
Confrontiamoci con Germania-Inghilterra

Dopo Germania-Inghilterra 3 a 1, bella partita, aperta, dura ma onesta, cerchiamo di rispondere ad un quesito che ci siamo doverosamente inflitti nei 90' di grosso football a Duesseldorf, l'altra sera. Ecco il quesito biforcuto: questo, cosi bello e così diverso dal nostro, è il vero football? E se è il vero football, come mai la Germania e anche l'Inghilterra non ci strabattono? 

Il quesito è importante adesso che comincia il nostro campionato, e già sappiamo cosa sarà di manfrine, delusioni, ticchete-tocchete assortiti. Lo affrontiamo e lo risolviamo specificando che si tratta di due giochi diversi, per errore chiamati entrambi gioco del calcio. Prendiamo la bellissima Germania del 3 a 1 sull'Inghilterra, e facciamola giocare contro l'Italia. Dopo cinque minuti, come massimo, c'è uno dei nostri a terra, e si contorce teatralmente. Poi si contorce sobriamente uno dei loro, su nostra replica. Passano i minuti, e con poco o niente football giocato. Discussioni, contestazioni. 

C'è un calcio di punizione, e la barriera è a uno, due, cinque, massimo sei metri. L'arbitro misura, magari ammonisce. Nasce finalmente una fase serrata, maschia, concitata e "nasce" subito, dentro di essa, a farla morire giovane, un qualche bordello speciale, un gesto furbastro, uno "sfrucugliamento" di avversario o arbitro. Gioco fermo, discussioni. E' un altro calcio, un altro sport. 

Siamo in grado, noi, di buttare in mucca qualsiasi partita, di bloccare qualsiasi estro del nemico ed anche qualsiasi sua sobrietà di azione. Siamo in grado di imporre al gioco più marmoreo, come regolamento, del mondo, tutto un subregolamento nostrano, paralizzante o comunque stravolgente. 

Si vedono, in partite come Germania-Inghilterra, aperture larghissime, passaggi rischiatissimi, se vanno bene la gente applaude, se vanno male amen. Da noi non si vede niente, nessuno tenta, se gli va male è sbranato. 

C'è una profonda morale nella assolutamente non profonda, bensì appena normale quanto a sua calata anzi colata nella storia d'oro del calcio, partita di Duesseldorf. Ma è una morale che riguarda soltanto noi, riguarda la nostra immoralità. Non possedendo più, o non potendo permetterci di possedere, gli strumenti intellettuali e/o sentimentali per godere del gioco e basta, dovendo sempre tenere presente il risultato, ci siamo affinati, come lupi che devono pur mangiare, a uccidere qualsiasi partita bella che un avversario per caso ci proponga. Siamo in grado, con due calcetti vigliacchi, una rimessa laterale con distanza rubata, un calcio di punizione bordellato, di mandare in bestia ogni avversario.

La Stampa, 11 settembre 1987, p. 30